Recitare non è una di quelle cose che il medico ti prescrive. Non è obbligatorio.
E sono sempre più convinto che chi lo faccia seriamente, e non intendo solo in maniera professionistica, abbia qualche squilibrio psicologico (io in prima fila).
Questo blog è un posto dove raccolgo le mie riflessioni e spesso elargisco suggerimenti per il miglioramento personale e della voce. Questo post è più uno sfogo personale, ma sei sei intelligente saprai ricavarne un utile insegnamento.
Magari non sarà subito lampante e chiaro, ma quando sarà il momento opportuno ti torneranno alla mente queste parole.
Dai ammettiamolo, non sempre quando si interpreta un ruolo, anzi un personaggio, si è totalmente coinvolti. E qui per coinvolgimento intendo quella dimensione particolare che elimina ogni barriera tra te e il personaggio e mette da parte il tuo IO per diventare qualcun altro.
Spesso (sempre più spesso) infatti ci si limita alla superficie, “si va di tecnica”. Questo succede spessissimo nel doppiaggio dove non ci sono giorni di prove e di preparazione, l’anello deve essere portato a casa. (Per fortuna non sempre si lavora in un tritasentimenti-doppiaggificio).
Capita perciò di dover recitare la parte di un killer alieno (fatico a riconoscermi), o di un burbero psicopatico (mi ci riconosco di più 😉 ). Insomma dei personaggi un po’ fuori dalle tue normali corde.
Poi capita di dover recitare una piccolissima parte di un padre che vive giorno dopo giorno, ora dopo ora, il dramma di aver ucciso per sbaglio il proprio figlio.
Recitare adesso fa più male.
Non è una cosa assurda se ci pensi bene. Capita tutti i giorni, purtroppo. Non parlo di assassini, orchi, pedofili. Parlo di recitare la parte di una persona qualunque, che per errore è la causa della morte del proprio figlio.
Tutto cambia, la famiglia lo abbandona lo allontana. Diventa una persona che si domanda continuamente: “PERCHE’?”.
E mentre reciti le sue battute, capisci la sua terribile condizione con l’intelligenza e la tua capacità analitica. La maggior parte della gente sana di mente, allontana come se fosse una mosca schifosa questo pensiero, appena si affaccia alla mente.
Ma ad un certo punto… CRACK!
Dura un microsecondo, forse meno. Il personaggio è penetrato nella tua barriera, si è infilato nella tua anima e ti ha fatto assaggiare il Suo/Tuo dolore.
Recitale fa male. Fa fottutamente male!
Poi ti trovi nel bivio di dover decidere: lo caccio via o lo tengo?
Quanto basta perché il Suo/Tuo dolore ti abbia preso le budella, rigirate, buttare a terra e calpestae.
Recitare fa malissimo.
Porti avanti il lavoro, ora capisci che quello che stai dicendo ha un senso.
Finisci il lavoro (doppiaggio o teatro) ed esci dal personaggio. Vorresti che la storia, la trama, ti dicesse di più su di lui. Magari si è suicidato (no, io non lo farei) allora è stato perdonato, oppure era tutto un sogno (tanto è un personaggio di fantasia, no?).
Magari il bambino non è morto e non l’ho ucciso….. Ora vattene!
Sali in macchina, telefoni ad una persona cara e capisci quanto sei fortunato.
E ti senti bene! Senti la forza che i sentimenti genera quando passa attraverso il tuo corpo.
Ti senti vivo, hai provato delle emozioni, hai recitato!
Sei esausto, distrutto (alla faccia di chi dice che recitare non è faticoso!).
Recitare fa male. Sicuramente. Ma è dannatamente vivificante.