Ti sarà capitato di sentire parlare teatroterapia, perciò nel mio piccolo (anche perché non sono un terapista e, se ne hai necessità, ti consiglio di rivolgerti a un professionista specializzato) ho deciso di spiegare di cosa si tratta e perché potrebbe esserti utile.
La teatroterapia, come dice la parola stessa, permette, con un’adeguata preparazione e lavorando in un gruppo guidato da un terapista esperto, di mettere in scena il tuo vissuto, facendo emergere aspetti nuovi di te.
Oltre alla recitazione, talvolta ci si avvale di danza, canto, burattini, pittura, ecc ma in questo caso sarebbe più corretto parlare di arteterapia.
Per circoscrivere il discorso al solo teatro e per accennare brevemente all’origine delle tecniche a cui solitamente si attinge nella teatroterapia, non si può fare a meno di nominare due grandi del ‘900: Konstantin Stanislavskij e Jerzy Grotowski.
Il primo sosteneva l’importanza di calarsi, mentalmente ma anche fisicamente e a livello comportamentale, nella parte da interpretare. Camminare con le scarpe di qualcun altro, metaforicamente ma non solo, porta spesso a far emergere lati di sé di cui non ci si è mai resi conto.
Grotowski aveva un approccio inverso, e partendo dalla persona che aveva di fronte, dai suoi vissuti, dalle sue caratteristiche, desiderava aiutarla a interpretare meglio la parte che gli era stata assegnata. Affinare la consapevolezza delle potenzialità del proprio corpo, dei movimenti, della voce, di tutto ciò che di non verbale viene trasmesso dall’attore al pubblico per lui era fondamentale, perché l’attore trasmettesse emozioni e vissuti, e non si limitasse a riferire una storia.
La forza dell’esperienza vissuta teatralizzando potrà stupirti e variare a seconda della tua disponibilità personale, delle persone con cui vivrai questa esperienza e del contesto in cui ti troverai: il linguaggio della teatroterapia è quello dei simboli, dei sogni e dell’inconscio, studiato approfonditamente da Carl Jung.
Il bello di queste esperienze è l’assenza di giudizio, perciò qualunque emozione esternata o vissuta internamente, non uscirà dal gruppo e questa consapevolezza può liberare molto di ciò che è in te.
Si tratta della catarsi, un termine un po’ abusato ultimamente, che deriva dai riti di purificazione dell’antica Grecia. In effetti, la teatroterapia potrebbe far riaffiorare in te delle situazioni conflittuali o irrisolte e in questi casi, la guida di un terapista professionista potrebbe esserti di grande aiuto.
Al di là delle potenzialità terapeutiche (di cui non sono esperto, non essendo, come detto, un terapista), mi sento di consigliare questa esperienza, perché ciò che ne può scaturire potrebbe esserti utile nel tuo lavoro d’attore.
Le emozioni sono alla base del lavoro dell’attore, che deve imparare a portarle sulla scena o al microfono, nel caso del doppiatore. Come sai, un doppiatore esprime le emozioni dell’attore che sta doppiando solo con la voce, quindi senza l’ausilio della mimica corporea, perciò esprimersi vocalmente con la recitazione diventa di fondamentale importanza.
Walter Orioli nel libro “Teatroterapia: Prevenzione, educazione e riabilitazione” afferma:
L’obiettivo della sessione di teatroterapia è semplicemente quello di rendere armonico il rapporto tra corpo, voce, mente e spirito nella relazione con gli altri, se stessi e la propria creatività interpretativa.
Gli effetti delle sedute di gruppo, quando sono veramente salutari, producono benessere sul singolo anche a distanza di tempo dalla seduta stessa, poiché gli stimoli ricevuti entrano a far parte di un’esperienza profonda che può essere integrata nella vita di tutti i giorni.
Sempre Walter Orioli ne “Il gioco serio del teatro: Fondamenti di Teatroterapia” afferma:
La Teatroterapia si pone l’obiettivo di sviluppare le potenzialità umane a partire dalla dimensione corporea: la rappresentazione della propria storia personale attraverso l’interpretazione di un personaggio è l’occasione per l’attore di intraprendere un percorso di coscienza di sé, di crescita e di guarigione.
Perché non è importante soltanto la tecnica, quindi il conoscere le regole della dizione, ma anche saper comunicare emozioni che magari non ci appartengono, per esempio come quella volta che mi è capitato di dare voce e vita a uno psicopatico assassino. Pur non avendo nulla in comune con il personaggio e avendo avuto il tempo di studiarlo, senza limitarmi a “portare a casa il turno” cavandomela con la tecnica, ho capito che mi aveva in ogni caso arricchito, anche se, come ho scritto in questo articolo, recitare fa male.
Grazie a alla Dottoressa Barbara Bettetini per la consulenza. Cliccate sul link per scoprire le attività del CentroSutdiPedagogici